Anticorruzione, buona
la prima (ma non troppo)

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Con 145 voti di differenza – e 12 astenuti – passa alla Camera il disegno di legge denominato “Spazzacorrotti” che contiene nuove norme contro la corruzione, per la trasparenza dei partiti e la riforma della prescrizione. Una legge che vuole segnare il passo e che mette nero su bianco tre punti qualificanti del contratto di governo. La sua gestazione in aula ha visto, martedì scorso, un pesante incidente di percorso: nel voto segreto alcune fattispecie di reato non sarebbero più ricondotte al peculato ma al meno grave abuso d’ufficio. Al netto delle polemiche politiche che ciò ha scatenato, si tratta in effetti di una norma che va proprio nel verso opposto rispetto a tutta la legge e che esprime, quindi, una forte incoerenza col resto del testo. Per questa ragione la maggioranza ha già espresso la volontà di modificare la norma nel passaggio al Senato e, a scanso di ogni equivoco, di accelerare sull’approvazione definitiva della legge. Tutta la nuova normativa è infatti ritenuta dal Governo un punto di svolta sul tema ed è anche molto attesa dai contesti internazionali. Andiamo a vedere in breve sintesi di cosa si tratta.

Anticorruzione. La legge dà a inquirenti e investigatori strumenti innovativi per incidere sulla lotta alla corruzione aggredendo ciò che la rende per certi versi impenetrabile: il patto fra corrotti e corruttori. Non può sfuggire, infatti, che in tale relazione, nessuno degli attori coinvolti ha interesse alcuno a svelare il patto, destinandolo così a non essere mai conosciuto se non tramite i metodi tradizionali di indagine. Con l’introduzione dell’agente sotto copertura, si fornisce uno strumento formidabile, inedito, previsto dalla convenzione Onu di Merida che l’Italia ha sottoscritto oltre 15 anni fa ma non ha mai applicato. Ciò consentirà una osservazione diretta dei fatti, la possibilità di ricostruire dall’interno ruoli e personaggi coinvolti, allargare al massimo l’ambito d’indagine. E poi, ovviamente, c’è l’effetto deterrente: il corrotto non potrà mai sapere se colui che lavora al suo fianco sia un membro delle forze dell’ordine, infiltrato nell’ufficio, pronto quindi a relazionare il magistrato.
Altro strumento utile alle indagini è rappresentato dalla causa di non punibilità. Mutuando l’importante esperienza maturata nel contrasto alla criminalità organizzata, questo rappresenta il grimaldello per rompere il patto di ferro fra corrotto e corruttore. Se uno dei due attori coinvolti, infatti, può, denunciando i fatti (quindi autodenunciandosi), rivelare questioni rilevanti agli inquirenti, e per questo usufruire della non punibilità, nessun patto corruttivo è più al sicuro. La nuova figura, però, deve rispondere a criteri molto stringenti.

Poi c’è quello che viene definito “daspo“, concetto mutuato dal divieto per i violenti di accedere agli stadi. Una sanzione accessoria alla principale che consente – da una parte – l’interdizione dai pubblici uffici – dall’altra – il divieto a contrarre con la pubblica amministrazione. I termini sono stati allungati e, in caso di condanna definitiva, l’imprenditore che ha agito corrompendo non dovrà semplicemente attendere la riabilitazione – in genere concessa in tre anni – ma ulteriori 7 anni prima di poter avere nuovamente a che fare con la pubblica amministrazione. Anche in questo caso l’effetto deterrente è lampante e mira a un aspetto molto pragmatico: al netto del giudizio morale sulla corruzione, questa norma la rende non conveniente, il gioco non vale proprio la candela.

Ma tutti questi sforzi rischiano di essere vani se poi, in seguito a una condanna di primo grado, la prescrizione dietro l’angolo può rendere tutto vano, lasciando incertezza sulla colpevolezza o meno degli imputati e, nei fatti, negando la giustizia dopo un importante investimento da parte dello Stato che – con la sentenza di primo grado – ha già dimostrato ampiamente il suo interesse a punire il reato. Una norma di civiltà che ha generato grandi polemiche, soprattutto da parte degli avvocati, che si sono anche astenuti dal lavoro per protesta generando l’effetto paradossale che lamentandosi della lunghezza dei processi producono l’effetto di allungarli ulteriormente a tutti i loro assistiti. Secondo la legge passata ieri alla Camera, la prescrizione sarà sospesa dopo la sentenza di primo grado ed avrà efficacia dal gennaio 2020, un termine utile a mettere a regime gli investimenti previsti in manovra sulla giustizia: 3mila nuove unità di personale amministrativo, 960 magistrati in più, 1.300 nuovi agenti di polizia penitenziaria. A questa azione si affianca una riforma del penale che eliminerà i tempi morti e lungaggini del processo.

La legge “Spazzacorrotti” introduce una nuova disciplina sulla trasparenza dei finanziamenti ai partiti: con la nuova legge i partiti – ma anche tutti gli enti collegati – dovranno pubblicare i nominativi di coloro che finanziano i partiti con di cifre pari o superiori alle 500 euro l’anno.

Una legge, quindi, a tutto tondo che vede il concetto di giustizia al centro di tutto. Una giustizia che guarda agli imprenditori onesti, agli investitori esteri, ai cittadini che chiedono di far valere i propri diritti. Una legge che ora approda al Senato, per cui buona la prima, ma non troppo.