Carcere, a Fossombrone un polo universitario più inclusivo

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Sono 10 i corsi di laurea, 19 i detenuti iscritti e 4 i laureati nell’anno accademico in corso. Sono alcuni dati che descrivono la realtà del Polo universitario penitenziario regionale attivo dal 2015 nella casa di reclusione di Fossombrone.

“Il  Polo risulta essere  anche un ponte verso la comunità esterna attraverso la realizzazione di incontri con il progetto ‘Studenti dentro – Studenti fuori’ – ha spiegato il Provveditore regionale di Emilia Romagna e Marche Gloria Manzelli, firmataria, insieme al Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Urbino Giorgio Calcagnini e al Garante regionale dei diritti della persona Giancarlo Giulianelli, del rinnovo del protocollo d’intesa. “L’iniziativa – aggiunge la dirigente –   ha consentito l’accesso in carcere di 550 studenti universitari liberi che si sono confrontati con i colleghi detenuti in occasione di 10 seminari interdisciplinari”.

Il Polo, finanziato dall’Ufficio del garante regionale e dal Centro di Psicologia Giuridica del Dipartimento di studi umanistici dell’Università di Urbino , si avvale di un tutor remunerato e di 10 volontari che mantengono i contatti con i docenti, orientano e sostengono nello studio i detenuti ma  si occupano anche del disbrigo di pratiche amministrative e di tutti gli aspetti burocratici relativi all’iscrizione universitaria.  Ogni studente, per poter continuare a frequentare il Polo deve conseguire almeno 18 crediti formativi  l’anno, secondo quanto stabilito dal comitato didattico organizzativo composto da docenti universitari e da personale del PRAP e della casa di reclusione di Fossombrone.
In occasione del terzo rinnovo, la convenzione  si è allineata alle Linee Guida sulle modalità organizzative della  didattica in ambito penitenziario  elaborate sulla base del protocollo d’intesa tra DAP e CNUPP  (Conferenza Nazionale universitaria poli) dell’11 settembre 2019. L’accordo contiene anche un altro importante elemento di novità: l’accesso al Polo di detenuti stranieri anche se privi di permesso di soggiorno, in quanto le parti hanno convenuto all’art. 3 “ che la presenza in Italia per l’esecuzione della pena deve intendersi come presenza legale, e quindi dà titolo all’iscrizione all’Università”.
“Questo articolo del protocollo –ha sottolineato – Gloria Manzelli – rappresenta  un elemento di apertura, non solo amministrativa, ma anche culturale e una  scommessa verso una porzione della popolazione detenuta per la quale le opportunità di riscatto e inserimento nel tessuto sociale appaiono ancora lontane”.