“Quando un giornalista è minacciato, in pericolo la libertà di tutti”

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Paolo Borrometi compirà 36 anni venerdì prossimo. Negli ultimi cinque è stato costantemente nel mirino della criminalità organizzata che non gradisce le sue inchieste giornalistiche. L’ultima minaccia risale alla scorsa settimana quando alla sede di Tv2000, una delle due testate con cui collabora (l’altra è l’Agi), è giunta una lettera con un messaggio inquietante. Nella missiva era scritto Picca nai (poco ti è rimasto), ennesima intimidazione a un professionista che ha puntato la sua attenzione al racconto dei legami tra mafia e politica. Dopo la pubblicazione sul sito www.laspia.it (di cui è direttore) di una sua inchiesta è stato sciolto il Comune di Scicli per “infiltrazioni mafiose”.

Borrometi sabato scorso ha ricevuto a Palermo il “Premio Giuseppe Francese”, riconoscimento dedicato alla figura del figlio di Mario Francese (giornalista de Il Giornale di Sicilia assassinato dalla mafia a Palermo il 26 gennaio di 40 anni fa). Della ricerca dei mandanti e degli assassini del padre, Giuseppe fece una ragione di vita.

Sabato scorso nella cerimonia della consegna del premio, Borrometi ha rivolto un pensiero a Giulio Regeni e al magistrato Nino Di Matteo, invitando i ragazzi delle scuole presenti a non smettere mai di sognare. Dalla platea a quel punto si sono alzati dal pubblico cartelli con l’hashtag #iostoconborrometi.
Sul palco del Teatro Santa Cecilia, accanto a Borrometi, c’era Carlo Verna, presidente nazionale dell’Ordine dei giornalisti. Con lui abbiamo parlato di una professione a rischio e del giornalismo “sotto attacco”.

Che cosa fanno gli istituti del settore per i giornalisti minacciati?
“Come Ordine dei giornalisti siamo accanto ai colleghi costretti a vivere e a lavorare ricevendo costanti minacce. Da tempo è attivo un Centro di coordinamento per la sicurezza del giornalista costituito da Federazione Nazionale della Stampa, Ordine dei giornalisti, Ministero dell’Interno e Dipartimento di Pubblica sicurezza. La minaccia è un atto gravissimo in assoluto ma contro un giornalista lo è ancora di più”.

Perché?
“E’ chiaro che ogni cittadino ha diritto a essere tutelato quando esprime le proprie opinioni. Ma il giornalista, non dimentichiamolo, è un veicolo di informazione. E proprio sulla base delle notizie che il giornalista riporta che ci si può formare una propria opinione della realtà. Un giornalista che non può fare il suo lavoro e che non può raccontare limita e condiziona la libertà di tutti. E poi c’è un altro tipo di intimidazione che ci preoccupa”.

Quale?
“Per intimidire un giornalista ‘scomodo’ c’è chi ricorre alle cosiddette ‘querele temerarie’. Quasi il 90% delle denunce con contestuale richiesta di risarcimenti altissimi viene poi archiviata, questo significa che sono atti pretestuosi al solo scopo di fermare l’azione del giornalista. Dobbiamo assolutamente ottenere un provvedimento legislativo. Da ottobre è in Parlamento una proposta di legge firmata dal senatore M5s Primo Di Nicola, ex giornalista de l’Espresso ed ex direttore de Il Centro”.