Cesare Terranova, il giudice che intuì lo sviluppo di Cosa nostra

Cesare Terranova
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Quarant’anni fa il barbaro assassinio del giudice Cesare Terranova e del suo collaboratore Lenin Mancuso. Sono da poco passate le 8.30 del 25 settembre 1979 quando i due, a bordo di una Fiat 131, vengono raggiunti da alcuni colpi di pistola esplosi da un gruppo di sicari: il magistrato muore sul colpo, Mancuso dopo alcune ore di agonia in ospedale.

Ancora oggi, a distanza di quarant’anni, l’operato di Terranova viene ricordato per la capacità di lettura, estremamente chiara e puntuale, del fenomeno mafioso che proprio negli anni 70 si faceva largo nel tessuto sociale anche grazie alla scalata al vertice della cupola del clan dei Corleonesi. Terranova, originario di Petralia Sottana, ebbe l’intuizione di individuare quella ‘famiglia’ come pericolo numero uno da contrastare per i connotati di ferocia, risolutezza e volontà espansiva che ne avrebbero contraddistinto l’operato.

Impegnato anche sul versante politico, Terranova venne eletto deputato, da indipendente nelle file del Pci, per due mandati (dal 1972 al 1979). Pur avendo a disposizione strumenti investigativi limitati, ebbe il merito di parlare apertamente di Cosa nostra in un momento in cui si faceva fatica persino a pronunciare la parola mafia. Un primo decisivo passo per abbattere un sistema omertoso contro il quale in tanti, anche successivamente, si sarebbero scontrati.