Colloqui via Skype per detenuti al 41bis? Prima serve un regolamento

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Non è possibile, in mancanza di una apposita legge, autorizzare colloqui audiovisivi “modello skype” per i detenuti – a maggior ragione per quelli al 41bis – che reclamano il diritto ad avere contatti con i parenti, anche loro reclusi in carcere.

E’ questa l’argomentazione su cui si fonda la decisione della Cassazione che ha annullato senza rinvio l’ordinanza con con cui il Tribunale di sorveglianza di Sassari aveva autorizzato un boss della ‘ndrangheta, Francesco Pesce, ad avere dal carcere sassarese di Bancali “colloqui visivi periodici” con il fratello Giuseppe, anche egli detenuto in regime di carcere duro. Secondo il Tribunale di Sorveglianza, “l’adeguamento costante e inevitabile è imposto dall’avanzare della tecnologia” e dunque bisognava consentire i colloqui audiovisivi.

Il reclamo, presentato dal Ministero della Giustizia e dell’Amministrazione penitenziaria di Sassari, è stato accolto dalla Cassazione che ha obiettato che pur senza “negare l’interesse per l’evoluzione tecnologica al fine di rendere più semplice, più sicura e più conveniente la corrispondenza telefonica tra detenuti”, occorre una legge o un regolamento che stabilisca “quali strumenti e attrezzature adottare”.