Detenuti e non attorno al tavolo: bridge in carcere

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Il bridge entra in carcere. E’ definito “lo sport della mente” perché non si tratta di un semplice gioco di carte ma di un esercizio in grado di stimolare la logica, la socialità e lo spirito di squadra: la concentrazione e la strategia sono essenziali per vincere tanto che alcuni studi scientifici hanno dimostrato i benefici della pratica del bridge. Riconosciuto dal Coni nel 1993 come disciplina sportiva, ha già varcato le porte di alcuni penitenziari attraverso corsi tenuti da istruttori designati dalla Federazione Italiana Gioco Bridge (FIGB).

Nel carcere di Rebibbia a Roma ha avuto inizio nel 2010 una lunga esperienza di volontariato introdotta e coordinata da Roberto Padoan, ex consigliere della federazione. Altri penitenziari hanno poi aderito al progetto: nel 2011 la casa di reclusione San Michele di Alessandria e nel 2018 il carcere di Bollate a Milano.

“La richiesta di effettuare un corso di bridge nel carcere di Bollate ci è venuta da un detenuto – ricorda Francesco Ferlazzo Natoli, presidente della FIGB -, attraverso una email evidentemente autorizzata dalla Direzione dell’istituto. Abbiamo accolto l’idea subito e con grande entusiasmo, certi che la pratica del nostro gioco/sport se non altro può essere di grande aiuto per chi ha ‘problemi’ a occupare il tempo. Il bridge, una volta conosciuto nei suoi elementi essenziali, affascina e può veramente coinvolgerti mentalmente, a lungo, anche indipendentemente dal fatto di essere materialmente nella fase di gioco. Per i giovanissimi costituisce un forte stimolo per lo sviluppo delle capacità cognitive e per gli anziani una palestra formidabile per tener il cervello  in buona efficienza”.

Nella biblioteca messa a disposizione dalla direzione della casa di reclusione milanese, è nato un ‘circolo’ del bridge che coinvolge un nutrito gruppo di detenuti seguiti dall’istruttore Eduardo Rosenfeld. Alle attività già esistenti, volte al reinserimento sociale dei detenuti dell’istituto, si aggiunge la pratica sportiva che allena la mente, vista in un’ottica riabilitativa. A fine corso è stato organizzato un torneo misto con coppie formate da detenuti e tesserati.

“Pur essendo per me la prima volta in tale contesto – ci ha detto Rosenfeld – non ho avuto alcun problema e mi sono sempre sentito perfettamente a mio agio: il rapporto con gli ‘allievi’ è sempre stato molto cordiale.  Giocando a bridge si sono accorti, talvolta dopo qualche tempo, che bisogna mettere da parte una certa ‘furbizia’ e un certo eccesso di protagonismo individualistico. Nel bridge ti accorgi che per giocare bene devi avere metodo, seguire la procedura, dialogare con il partner, scegliere le migliori probabilità, ragionare”.

Dopo Bollate altri penitenziari hanno attivato il corso, ad Ancona Montacuto e Barcaglione, previsto il prossimo avvio anche a Massa Marittima. Livorno e Prato hanno già preso contatti con la FIGB per adottare il progetto.