“Di Cucchi racconto dolore e solitudine”. Cremonini parla ai detenuti

Frammento della locandina del film "Sulla mia pelle" sugli ultimi giorni di vita di Stefano Cucchi
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Sulla mia pelle, il film con cui il regista Alessio Cremonini racconta gli ultimi giorni di vita di Stefano Cucchi (il 31enne romano morto il nell’ottobre del 2009 mentre era in custodia cautelare dopo l’arresto per detenzione di droga), ha ottenuto grande successo di pubblico e di critica, con diversi passaggi in festival e rassegne in tutta Italia. Tuttavia, quella che si è tenuta nei giorni scorsi nella casa circondariale di Trieste, è stata  una sorta di nuova “prima”,  per la tipologia del  pubblico composto da detenuti di varie età e con diverse storie di vita, alcuni dei quali con  esperienze di tossicodipendenza, di  fermi, arresti e soste in caserma.

Il film è stato visto però in un contesto “formativo”, una masterclass tenuta da Alessio Cremonini per i  detenuti componenti della giuria del Festival ShorTs organizzata dallo Shorts International, un progetto all’interno di cui ogni anno si organizza un corso di formazione sulle tecniche audiovisive.

Cremonini ha spiegato di aver voluto utilizzare nel suo film delle tecniche per accentuare l’aspetto della cronaca e perché ilm racconto rispondesse più possibile alla realtà. Per questo ha fatto ricorso all’uso di ambienti autentici, alla lettura e alla selezione scrupolosa di diecimila pagine di atti, necessarie per ricostruire l’odissea di Stefano dall’arresto alla morte. Un approccio rigoroso in quanto, ha ribadito il regista, “volevo farne un film utile, per le persone che non sono state in carcere. Non sono pochi quelli che pensano che un carcerato non sia un cittadino. Ma non ho voluto fare un film giudicante che divide il mondo in buoni e cattivi “.

Alessandro Borghi in una scena del film “Sulla mia pelle”

 

Il film ha suscitato tra gli spettatori-allievi seduti in platea ricordi, emozioni e indignazione per le 140 persone che hanno incontrato Cucchi negli ultimi giorni di vita e che sono rimaste indifferenti e silenziose. Alcuni spunti di discussione hanno poi indotto Cremonini a definire il senso ultimo di Sulla mia pelle, “come credente e come cittadino”. “Da cattolico – ha detto il regista – ho realizzato un film sul dolore, sulla solitudine e sull’approssimarsi della morte. Da cittadino un film sulla sconfitta di un paese democratico che non è riuscito salvare un ragazzo per poi eventualmente fargli scontare in carcere le sue colpe”.