Equo processo e retroattività legge penale: sentenza sul caso Felloni

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E’ stata pubblicata nella sezione “Strumenti” del sito www.giustizia.it la sentenza emessa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) nel ricorso promosso da Riccardo Felloni, ritenuto colpevole in via definitiva per guida in stato di ebrezza nel 2014.

Il tema del ricorso riguardava il mancato riconoscimento delle cosiddette attenuanti generiche (art. 62 bis codice penale) da parte delle sentenze emesse dal Tribunale di Ferrara nel 2011 e dalla Corte d’Appello di Bologna nel 2012, a causa dell’applicazione retroattiva della legge 24 luglio 2008 n. 125, mentre il fatto reato risaliva al 29 settembre 2007. La decisione di merito era stata confermata dalla Corte di Cassazione nel 2014.

Con riguardo alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, il ricorrente lamentava la violazione dell’articolo 6 par. 1 (diritto all’equo processo) e dell’articolo 7 par. 1 (principio dell’irretroattività della legge penale), chiedendo la condanna dello Stato italiano al risarcimento di 25 mila euro a titolo di danno morale, con riapertura del processo e il contestuale riconoscimento della prescrizione dei reati contestati.

La Corte si è espressa per l’avvenuta lesione del diritto all’equo processo, in quanto la decisione della Cassazione si era limitata a dichiarare inammissibili i motivi del ricorso, ritenendoli attinenti a questioni di merito e come tali non rientranti nelle competenze della Suprema Corte. Il giudice europeo ha invece ritenuto che la presunta applicazione retroattiva di una legge penale meno favorevole meritasse una risposta esplicita e specifica.

Sul secondo punto, riguardante il principio di non retroattività della legge penale, la Cedu ha invece respinto la richiesta del ricorrente. Infatti, al di là del dettato della legge n. 125/2012 – intervenuta successivamente al reato – nemmeno all’epoca dei fatti contestati al Felloni il codice penale prevedeva l’automatica applicazione dell’art. 62 bis in caso di incensuratezza dell’imputato: il riconoscimento delle attenuanti generiche rientrava in ogni caso nel potere discrezionale del giudice (artt. 132 e 133 codice penale).

Al ricorrente è quindi stata riconosciuta la somma di 2500 euro a titolo di danno morale.

LEGGI QUI LA SENTENZA