Genova si riconnette con il mondo e anche con se stessa

FacebookTwitterWhatsAppEmailCopy Link

Una città dove andare. Una città dove ritornare. Perché Genova si guarda sempre volentieri, “perché Genova è mia moglie”, come ebbe modo di ripetere in più di una circostanza Fabrizio De Andrè. Per andare e tornare servono le strade, servono i ponti. Serve il ponte. Anzi, serviva il ponte. Il ponte oggi c’è e torna a riconnettere Genova con il mondo e con se stessa. Due anni dopo una ferita difficile da sanare. Per chiunque.

Il dolore per le vittime resta intatto, la tragedia non si può e non si deve cancellare. Le ripartenze servono per ricordare, per non commettere gli stessi errori. Per dare al silenzio che ha scandito la lettura dei nomi delle 43 vittime durante la cerimonia di inaugurazione della nuova struttura, il peso specifico del rispetto e della memoria. Lontana da qualsiasi forma di retorica, che suonerebbe vuota e priva di significato. Senza quell’anima che il Paese chiede a gran voce.

Il ponte San Giorgio è l’emblema dell’Italia che ce la può fare, che riesce a esaltarsi quando bisogna rimanere compatti. Quando giunge il momento di remare tutti dalla stessa parte. Il taglio del nastro ha simbolicamente rappresentato un gesto di cesura tra quel che è stato e quel che dovrà essere. E dovrà essere lo Stato a tracciare la strada, a creare ponti di connessione capaci di unire e di mettere tutti in condizione di camminare e di arrivare a destinazione.

A cominciare da Genova. Sino ad arrivare a Genova.