Giustizia minorile-Transcrime: report sulle gang giovanili in Italia

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Le gang giovanili in Italia sono ormai presenti nella maggior parte delle regioni, anche se con una leggera prevalenza nel centro-Nord rispetto al sud del Paese. E’ quanto emerge da un rapporto esplorativo realizzato da Transcrime – Centro di ricerca interuniversitario sulla criminalità transnazionale dell’Università cattolica del Sacro Cuore, dell’Alma Mater Studiorum Università di Bologna e dell’Università degli Studi di Perugia – in collaborazione con il Servizio analisi criminale del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno e il Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità del Ministero della Giustizia.

Lo studio vuole essere un contributo, seppur parziale, per disegnare un quadro più preciso del fenomeno in Italia e fornire alcuni dati sistematici per il suo monitoraggio. I dati sono stati raccolti attraverso la somministrazione di due questionari, uno ai Comandi provinciali dell’Arma dei carabinieri e alle Questure, l’altro agli Uffici di servizio sociale per minorenni, e grazie all’analisi delle notizie apparse su giornali nazionali e locali e sulle agenzie di stampa.

I risultati evidenziano un fenomeno in crescita, basti consultare il numero degli articoli presenti negli organi di stampa che contengono la parola “Gang giovanile”: sono stati 612 nel 2017, 1453 nel 2018 e, dopo una flessione nel 2019 e nel 2020, si sono attestati a 1249 nel 2021 e a 1909 nei primi 4 mesi del 2022.

Quattro le tipologie di gang individuate:

il primo tipo, maggiormente presente sul territorio nazionale e caratterizzato da legami deboli e una natura più fluida, non presenta una gerarchia o un’organizzazione definita e spesso neanche fini criminali specifici. I reati prevalenti sono attività violente o devianti occasionali;

il secondo tipo, presente in prevalenza nel sud del Paese, ha dirette connessioni o si ispira alle organizzazioni criminali italiane tradizionali;

il terzo tipo, composto da gruppi con struttura definita, è presente prevalentemente al nord e al centro del Paese. Queste gang composte da stranieri di prima e seconda generazione sono soprattutto di matrice sudamericana e presentano simboli identificativi, un’organizzazione strutturata o semistrutturata e una continuità operativa nel tempo;

il quarto tipo, presente in tutte le macroaree del Paese, è caratterizzato dalla presenza di una struttura definita e da un certo livello di organizzazione, senza legami evidenti con altre gang o organizzazioni criminali.

Le gang analizzate nello studio sono composte mediamente da meno di 10 individui, prevalentemente italiani, maschi, con una età compresa tra i 15 e i 17 anni. I reati commessi sono in prevalenza reati violenti quali risse, percorse e lesioni, atti di bullismo, disturbo della quiete pubblica e atti vandalici. Per quanto riguarda i reati appropriativi, quelli prevalenti sono furti e rapine in pubblica via.  Le vittime più frequenti delle gang sono i coetanei tra i 14 e i 18 anni.

Sono l’assenza o la problematicità dei rapporti con le famiglie e le istituzioni scolastiche, a spingere i “ragazzi a cercare nel gruppo dei coetanei modelli di riferimento”, fattori che sembrerebbero influire in maniera determinante alla formazione di questi gruppi. Nel caso delle gang straniere è rilevante anche la “necessità dei ragazzi di affermarsi in un contesto al quale non sentono di appartenere”. La necessità di predisporre percorsi efficaci di reinserimento sociale ha fatto sì che i giovani delle gang denunciati per i reati commessi fossero nel 50% dei casi sottoposti alla misura della sospensione del procedimento penale e alla messa alla prova.

Per Gemma Tuccillo, capo del Dipartimento giustizia minorile e di comunità: “L’osservazione e il trattamento del fenomeno, sempre più allarmante, della devianza giovanile di gruppo, costituisce uno degli obiettivi del Dipartimento. È pertanto di fondamentale importanza un lavoro, quale quello condotto da Transcrime sulle gang, in collaborazione con gli USSM, che vede la cooperazione di enti e organismi di ricerca, di università e del privato sociale, per monitorare e approfondire segmenti specifici del settore, mediante studi, ricerche, rilevazioni statistiche, analisi qualitative e quantitative, e per formulare nuove ipotesi in un settore complesso, che spesso desta allarme sociale, al fine di una proficua crescita condivisa, sia in termini di conoscenza teorica sia di ricadute relative agli interventi operativi e alle politiche pubbliche e sociali, relativamente al recupero e alla sicurezza sociale”.