Inaugurata a Rebibbia la “Casa per l’affettività”

La casetta dell'affettività di Rebibbia
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Si chiama  M.A.MA, Modulo per l’Affettività e la Maternità, un luogo intimo, pensato come posto d’incontro tra madri detenute e famiglie e inaugurato oggi a Roma, nella casa circondariale femminile di Rebibbia.

E’ una costruzione agile e leggera ma con un notevole peso simbolico: afferma un “principio fondamentale ma non scontato” – ha sottolineato la direttrice dell’istituto, Alessia Rampazzi – “quello del valore trattamentale degli spazi “. Un valore richiamato anche da Antonella Polimeni, rettrice dell’Università La Sapienza, che ha ricordato la realizzazione del progetto all’interno della “Terza Missione “ dell’ Ateneo romano, nato con l’obiettivo di mettere a disposizione della collettività conoscenze e competenze specialistiche.

Il modulo è stato progettato da un team di giovani architetti  (Tommaso MarenaciAttilio Mazzetto e Martina Passeri) coordinati da Pisana Posocco,  docente presso il Dipartimento Architettura e Progetto con la supervisione  di Renzo Piano, nell’ambito  dell’iniziativa G124 avviata dall’architetto  genovese dopo la sua nomina a senatore a vita e  concentrata su piccoli interventi nelle periferie.

 

Renzo Piano a Rebibbia

“Il MA.MA è una capanna auto-costruita che sembra uscita dalla matita di un bambino, al cui interno vi è una stanza dove poter abbracciare le persone a cui si vuole bene”. Così ha  descritto  la costruzione Orazio Carpenzano, Preside della Facoltà di Architettura dell’Ateneo romano dove negli ultimi anni si sono sviluppate ricerche sull’architettura carceraria. Studi che, grazie al progetto G124e al DAP –  Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria che ha materialmente sostenuto la realizzazione del prototipo hanno avuto una prima opportunità di tradursi in realtà.
“Alcune idee progettuali – ha aggiunto Carpenzano – andrebbero proprio concepite in accoppiamento strutturale con gli spazi di cui dispone il carcere per costruire   luoghi che possano aiutarci a dare risposte a persone che, come quanti vivono una condizione detentiva, ne sono in cerca”.

Il piccolo fabbricato è stato quasi interamente montato dai detenuti che lavorano nella falegnameria della Casa circondariale di Viterbo mentre  alcune lavorazioni di supporto sono state eseguite dalle detenute di Rebibbia.
Questo è stato possibile grazie alla scelta, già in fase di progettazione, di pannelli di peso contenuto che ne facilitano il trasporto e il montaggio e in prospettiva, anche la riproduzione in altri istituti.

L’interno, costituito da un soggiorno con angolo cottura dove le detenute potranno cucinare e consumare pasti con figli e familiari e da un bagno prende luce dalle due grandi porte finestre che si affacciano sullo spazio verde organizzato come una radura all’interno di un’area appositamente attrezzata.

Renzo Piano a Rebibbia

“E’ stato facile realizzare questo progetto perché  il MA.MA non poteva essere che l’archetipo di una casa” ha raccontato Renzo Piano  a conclusione dell’incontro a cui hanno partecipato, tra gli altri, il Capo di Gabinetto del Ministero della Giustizia Raffaele Piccirillo, il Direttore Generale Detenuti e Trattamento del DAP Gianfranco De Gesu, il provveditore regionale Carmelo Cantone e  il Garante dei detenuti della Regione Lazio, Stefano Anastasia. “Tra i tanti temi importanti che riguardano la nostra società quello del carcere è uno dei più delicati perché è un luogo di passione, apnea, attesa, un po’ come sono gli ospedali Mi rendo conto che all’interno dei grandi temi del carcere questa non è una gran cosa: è una scintilla. Ma le scintille contano. Se madri potranno incontrare i loro figli in questo luogo e far risalire in superficie sentimenti, sarà una buona cosa.  Anche il progetto più piccolo può avere una vita felice. E io mi auguro che questa minuscola casa abbia una vita felice e che possano esservi tante di queste scintille”