Kafala, un tema delicato affrontato dall’Unione Europea

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Lo scorso 26 marzo, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con sentenza della Grande Sezione ha esaminato per la prima volta il tema della kafala, alla luce delle norme europee vigenti. La kafala costituisce, in forza del diritto algerino, l’impegno assunto da un adulto, da un lato, di farsi carico del mantenimento, dell’educazione e della protezione di un minore, allo stesso modo di come lo farebbe un genitore per il proprio figlio e, dall’altro, di esercitare la tutela legale su tale minore. In questa cornice, la Corte di Giustizia si chiede se il minore che sia affidato a un adulto in regime di kafala possa essere considerato, ai fini del soggiorno, “discendente diretto”, in particolare “figlio adottivo”. La decisione della Corte è di segno negativo. Secondo i giudici europei, il bambino in kafala non può essere considerato figlio (neanche adottivo) del tutore.

La Corte aggiunge, tuttavia che nell’ipotesi in cui “fosse stabilito che il minore e il suo tutore, cittadino dell’Unione, sono destinati a condurre una vita familiare effettiva e che tale minore dipende dal suo tutore, i requisiti connessi al diritto fondamentale al rispetto della vita familiare, considerati congiuntamente all’obbligo di tener conto dell’interesse superiore del minore, esigono, in linea di principio, che sia concesso al suddetto minore un diritto di ingresso e di soggiorno al fine di consentirgli di vivere con il suo tutore nello Stato membro ospitante di quest’ultimo”.

Anche la nostra magistratura ha affrontato la questione dell’ingresso nel territorio italiano di bambini assunti in regime di kafala da cittadini italiani affermando che non può essere rifiutato il nulla osta all’ingresso nel territorio nazionale, per ricongiungimento familiare, richiesto nell’interesse di minore cittadino extracomunitario affidato a cittadino italiano residente in Italia con provvedimento di kafala pronunciato dal giudice straniero nel caso in cui il minore stesso sia a carico o conviva nel paese di provenienza con il cittadino italiano ovvero gravi motivi di salute impongano che debba essere da questi personalmente assistito (Cassazione, Sezioni Unite n. 21108 del 2013). E’ interessante evidenziare come la giurisprudenza italiana e quella europea concordino nel ritenere che il bambino in kafala, anche se non “figlio”, possa rientrare nella nozione residuale di “altro familiare di un cittadino dell’Unione” per ricevere tutela.

Il giudice inglese, nel caso affrontato dalla decisione in commento, aveva chiesto alla Corte di Giustizia di affrontare anche la questione relativa al possibile rischio che un minore sottoposto al regime della kafala possa essere oggetto di abusi, di sfruttamento o di tratta dei minori. La questione non è stata esaminata dalla Corte, per irrilevanza nel caso di specie.

di Giuseppe Buffone – Magistrato addetto all’Ufficio del Capo Dipartimento per gli Affari di Giustizia