La redazione di Transity, ‘luogo di libertà’ nel carcere di Gela

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Lo chiamano “giornalino” ma solo perché  ancora a uso interno, non per le scarse ambizioni o per la tendenza ai diminuitivi infantili che caratterizza il linguaggio carcerario. In realtà Transity, il periodico della casa circondariale di Gela, ultimo nato dei giornali con redazioni all’interno degli istituti penitenziari, aspira a diventare un vero magazine, con caratteristiche ben chiare ai detenuti redattori, ai docenti e a Jerry Italia, il giornalista che li ha guidati nell’impresa.

“L’idea – racconta Jerry Italia – è di Gabriella Di Franco, la precedente direttrice della casa circondariale ma è stata ripresa con entusiasmo da Cesira Rinaldi, la nuova dirigente, che ha condiviso anche gli obiettivi che ci eravamo posti: da una parte creare un ‘luogo di libertà’ per aiutare a superare quell’immobilità mentale, più deformante e patogena di quella fisica, che rischia di verificarsi in carcere, dall’altra raccontare anche quanto di positivo esiste in un luogo che spesso all’esterno non è percepito a dovere”.
Non a caso Transity – nome che vuole evocare la voce di chi popola ‘transitoriamente’ i corridoi e le stanze del carcere di Gela’ – si autodefinisce un house organ, una rivista informativa su quanto accade nell’istituto.

L’attività redazionale si è svolta durante i corsi scolastici, due ore due volte a settimana, ed è stata seguita dalle insegnanti Rosanna Marchisciana e Daniela Ferraro. Prima della scrittura degli articoli c’ è stato un percorso preliminare per far scegliere ai detenuti i temi da affrontare.

Nel numero zero del giornale quello che si nota però, al di là delle immancabili poesie e ricette di cucina “ristretta”, sono articoli scritti da detenuti su bellezze e criticità di un mondo esterno prossimo o familiare, come i pregi artistici della vicina Butera o della lontana Plovdiv, in Bulgaria (della redazione fanno parte anche stranieri) ma anche le carenze di strutture turistiche o la scarsa manutenzione delle strade di Gela.

“E’ stata una scelta precisa – spiega Jerry Italia – quella di occuparsi della realtà esterna e di dare un’informazione utile, sulla città, sui disagi e sulle prospettive di miglioramento perché i nostri redattori hanno vissuto in una comunità e dovranno ritornarci. Ma soprattutto i detenuti non hanno voluto apparire come vittime e hanno cercato di comunicare una loro immagine diversa e propositiva”