Rebibbia, dove ai detenuti è offerta una “Seconda chance”

Progetto Seconda chance 1
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Roma, casa circondariale di Rebibbia “Raffaele Cinotti”. Davanti a una porta chiusa del reparto G8, un tempo noto come ‘penalino’ e destinato ai condannati definitivi, c’è una piccola fila di detenuti in attesa. Tutti hanno in mano una cartellina, inseparabile equipaggiamento dell’istante: in gergo, colui che ha chiesto un colloquio con educatori, avvocati, magistrati di sorveglianza e chiunque possa offrire un incontro con il ‘mondo esterno”. Il reparto G8 pullula di copie di istanze, ordinanze, calcoli su posizioni giuridiche, ma anche lettere e fotografie di persone care.

Oggi, 4 maggio, gli incontri nel reparto G8 hanno qualcosa di diverso. L’ansia che percorre la fila delle persone in attesa è palpabile: “Sono in corso i colloqui tra imprenditori e detenuti per il progetto ‘Seconda chance’. I candidati sono 17 per 7 profili richiesti da un grande ristorante romano”. A motivare l’insolita tensione è l’ispettrice Cinzia Silvano, coordinatrice del reparto e figura chiave delle iniziative, delle attività e degli spazi propedeutici al lavoro esterno dei reclusi. Il suo ufficio si trova proprio davanti all’aula in cui si stanno tenendo i colloqui di ‘Seconda chance’.

Il progetto è nato da un’idea di Flavia Filippi, cronista giudiziaria del TgLa7. “Durante tanti anni di lavoro mi sono resa conto che in carcere finiscono spesso persone che non hanno avuto opportunità o non si sono potute permettere l’avvocato giusto. Hanno diritto a un’altra possibilità, rappresentata principalmente da un lavoro. Ho pensato che un punto di partenza poteva essere divulgare i vantaggi economici per gli imprenditori, previsti dalla legge 22 giugno 2020 n.123, conosciuta come Legge Smuraglia”. Flavia Filippi racconta che da gennaio 2021 ha iniziato a contattare incessantemente imprese, associazioni di settore, agenzie per il lavoro, istituzioni pubbliche e altre realtà che potrebbero essere interessate al tema.

“Prima di muovermi ho chiesto informazioni alla garante comunale dei diritti dei detenuti Gabriella Stramaccioni e, tramite lei, ho iniziato a collaborare con il Provveditore dell’amministrazione penitenziaria di Lazio, Abruzzo e Molise, Carmelo Cantone.” I contatti, che la giornalista definisce ‘porta a porta’, sono iniziati in un periodo ancora di piena crisi dovuta alla pandemia. Ma con la graduale ripresa, sono arrivati i primi protocolli d’intesa con il Consiglio Nazionale delle Ricerche, l’Associazione Nazionale Costruttori edili, l’Agenzia del lavoro Orienta e l’Unione artigiani.

Oggi sono circa 40 i detenuti che già lavorano all’esterno o sono in attesa di essere assunti. Tra loro ci sono Pasquale, Gennaro e Antonello che svolgono lavori di falegnameria e riparazioni all’Istituto Superiore di Sanità: lucidano tavoli, riparano cassetti e aggiustano i ripiani di una vecchia libreria. Presto avranno il delicato incarico di restaurare la sirena d’allarme di San Lorenzo, che suonò prima del bombardamento del luglio 1943. Tra gli ultimi che hanno trovato lavoro grazie a ‘Seconda chance’, c’è Francesco che, dopo 21 anni di carcere, ha iniziato a lavorare nelle cucine del ristorante romano ‘Le Serre Vivi’. In un lontano passato Francesco faceva il cuoco a Palermo. In carcere ha avuto modo di continuare a tenersi in allenamento e a esercitare la creatività in cucina, arrivando a essere il cuoco responsabile di 1.600 pasti giornalieri.

“Nessuna delle circa cento aziende da me interpellate in quasi 5 mesi mi ha detto di aver mai sentito parlare della Legge Smuraglia – spiega Flavia Filippi -. Non nascondo che, nella mia ricerca di opportunità per i detenuti, qualche volta mi sono vista sbattere la porta in faccia. Molti tergiversano, si lasciano spaventare dal reato, altri dicono che richiameranno e non lo fanno. In sostanza ho calcolato che su 30 imprenditori che mi dicono di no, ne incontro uno disponibile. A volte faccio degli incontri fortunati, dove c’è un’immediata empatia, come quello con Alessandro Cantagallo che ha chiesto un manutentore, un aiuto cuoco, un runner, un idraulico, un elettricista e due addetti alle pulizie per il ristorante della sua famiglia, dentro allo spazio del museo MAXXI”.

Il progetto coinvolge ormai molti Istituti del Provveditorato e anche altre realtà italiane. Nell’istituto romano si è ormai collaudato un modello di recruiting Seconda chance, al quale lavorano, insieme a Flavia Filippi, l’ispettrice Cinzia Silvano e le educatrici coordinate da Giuseppina Boi. “I candidati effettuano un colloquio con l’imprenditore interessato per valutare competenze e motivazioni” racconta l’ispettrice Silvano. “Al colloquio assistiamo io e un educatore, oltre alla promotrice di ‘Seconda chance’. Per evitare condizionamenti, informiamo l’eventuale datore di lavoro dei reati del candidato solo dopo che è avvenuto il colloquio. Sono poi le aziende a inoltrare all’interessato e all’amministrazione la richiesta di lavoro”.

Progetto Seconda chance 2

Il lavoro professionalizzante è centrale nel progetto dell’Istituto diretto da Rosella Santoro. La società Panta Coop occupa, ad esempio, detenuti nella torrefazione e in attività di controllo e pedaggio autostradale. Altri lavorano in sartoria, altri ancora nel call center per il servizio CUP Ospedale Bambino Gesù della Coop E-team, che all’esterno ha assunto altre 20 persone in semilibertà.

“Tra i detenuti ci sono professionalità che aspettano solo di essere valorizzate o di crescere”, continua l’ispettrice mentre illustra i tanti spazi che ospitano le lezioni di formazione o dove presto si terranno nuovi corsi. Dalla falegnameria, alla sala musica dove si alterneranno docenti dell’Orchestra di Piazza Vittorio, al giornale Dietro il cancello, coordinato da Federico Vespa, alla sala prove della compagnia La ribalta di Laura Andreini. Alcuni di questi locali sono stati ristrutturati dagli stessi detenuti, come quello che ospita il corso per sommelier del Cavalieri Hilton, finanziato dalla Fondazione Severino e a cui sono stati ammessi 33 detenuti.

“Era un deposito e ora è un luogo vitale. La dimostrazione che gli spazi prima di essere fisici sono mentali, sono spazi di pensiero. Se immaginiamo lo spazio come un luogo che all’interno del carcere, resterà un luogo chiuso. Se lo immaginiamo aperto, rivelerà potenzialità inaspettate anche all’interno del carcere”. L’ispettrice viene fermata di continuo dai detenuti che le chiedono informazioni sull’inizio dei nuovi corsi o sollecitano autorizzazioni per attrezzi, colori, pennelli e arnesi vari. “In molti casi il rapporto di fiducia e di lealtà con i detenuti inizia qui. Ho capito che per non avere troppe delusioni bisogna conoscere le persone detenute nella loro complessità e se sono chiuse in cella non ci si riesce – aggiunge Cinzia Silvano –. Dopo sono loro a scegliere un percorso che in genere è graduale: si parte con gli articoli 20 ter – lavori di pubblica utilità -, poi passa al lavoro con scorta prima di accedere all’art. 21 che consente di andare a lavorare all’esterno, liberi”.

Attualmente i posti del Padiglione Venere, settore del G8 destinato ai lavoranti esterni, sono quasi tutti occupati. “Seconda chance – continua Silvano – ha dato un impulso notevole al lavoro all’esterno, al punto che sto cercando di ottenere un ulteriore ampliamento del padiglione dopo quello che abbiamo già realizzato nel 2019: inizialmente i posti erano 15, oggi sono 50”.

Lungo il corridoio del Padiglione Venere si sviluppano una serie di stanze di pernottamento, a due o più letti, luminose, pulite e quasi ordinate, considerato che si tratta di uno spazio comunque condiviso. Ci sono una lavanderia, una biblioteca, un’area living e due cucine dove i detenuti mangiano insieme: sono locali accoglienti, arredati con elettrodomestici e suppellettili frutto di donazioni.

“Ogni mattina – conclude l’ispettrice – quando percorro viale Majetti per raggiungere l’Istituto, incontro un piccolo fiume di detenuti che percorre la strada in senso inverso: io entro in carcere, loro escono. Sono camerieri, giardinieri, archivisti, artigiani, cuochi, aiuti cuochi. Ci salutiamo mentre andiamo a lavorare. Credo che questo sia il senso del mio impegno: valorizzare energie che andrebbero perdute e restituire alla società persone migliori”.