Religione in carcere: un diritto reale per 50mila detenuti credenti

Foto di Margherita Lazzati Mostra 'Fotografie in carcere. Manifestazioni della libertà religiosa'
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Professare la propria fede religiosa, oltre ad essere di conforto e sostegno nell’affrontare le restrizioni della vita detentiva, costituisce un valido supporto per mantenere il senso della propria identità in un contesto che può essere spersonalizzante. Inoltre può contribuire a porre le basi per una profonda riflessione sul proprio vissuto e sui percorsi devianti che hanno condotto alla commissione del reato e quindi alla detenzione.

Il principio della libertà religiosa, sancito all’art. 19 della nostra Costituzione in favore di ogni cittadino, trova ampio riscontro nell’Ordinamento Penitenziario: l’art. 26 considera infatti la religione uno degli elementi del trattamento penitenziario. Proprio la possibilità di praticare il proprio credo può quindi sollecitare il detenuto ad una positiva adesione alle offerte trattamentali dell’istituto, ponendo le basi per la (ri)costruzione di un sé nell’ambito della legalità.

Foto di Margherita Lazzati Mostra 'Fotografie in carcere. Manifestazioni della libertà religiosa'

Per questo l’Amministrazione Penitenziaria da sempre presta attenzione nell’assicurare a tutti i detenuti, di qualunque fede, la possibilità di praticare in carcere il proprio culto, anche mettendo a disposizione, quando possibile, appositi locali. Alla data odierna sono quasi 50mila i detenuti che hanno dichiarato di professare una fede religiosa. L’assistenza viene assicurata per tutti i culti: per i cattolici è presente un Cappellano in ogni istituto penitenziario; per i culti diversi dalla religione cattolica, sono ad oggi 1.505 i ministri di culto che, attraverso due differenti modalità, possono entrare in carcere.

Per le Confessioni religiose che hanno stipulato un’intesa con lo Stato Italiano, i relativi ministri possono entrare “senza particolare autorizzazione”, secondo le rispettive Leggi d’Intesa ed ai sensi dell’art. 58 del Regolamento di Esecuzione della Legge 354/75. In questi casi, le suddette Confessioni trasmettono ogni anno al DAP ed ai Provveditorati Regionali gli elenchi dei ministri destinati a prestare assistenza spirituale negli istituti penitenziari.

Foto di Margherita Lazzati Mostra 'Fotografie in carcere. Manifestazioni della libertà religiosa'

Allo stato attuale, le Confessioni che hanno stipulato un’Intesa con lo Stato Italiano, sono le seguenti: Tavola Valdese, Assemblee di Dio in Italia, Chiesa Evangelica Luterana, Unione delle Comunità Ebraiche, Chiesa Cristiana Avventista, Sacra Arcidiocesi Ortodossa d’Italia, Chiesa Apostolica, Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, Unione Buddhista Italiana, Istituto Buddista Italiano “Soka Gakkai”.

Per i ministri di culto che appartengono a Confessioni che non hanno stipulato alcuna Intesa con lo Stato, l’istanza presentata dal singolo o dalla Congregazione per accedere in uno o più istituti è trasmessa dalla Direzione Generale Detenuti e Trattamento del DAP all’Ufficio Culti del Ministero dell’Interno, che svolge gli accertamenti di rito e rilascia un Nulla Osta.

Negli ultimi anni, con l’aumento della presenza di detenuti stranieri di fede islamica, è cresciuta la richiesta di assistenza religiosa di tale culto. Tuttavia, mancando una struttura unitaria rappresentativa dell’islamismo in Italia e quindi un interlocutore istituzionale, per l’accesso degli Imam negli istituti penitenziari si segue la stessa procedura utilizzata per i ministri di culto che appartengono a Confessioni religiose che non hanno stipulato un’Intesa con lo Stato italiano. Ad oggi sono 43 gli Imam che hanno ottenuto il Nulla Osta del Ministero dell’Interno: alcuni accedono alle strutture penitenziarie periodicamente; altri soltanto in occasione del Ramadan, ricorrenza per la quale il Dipartimento impartisce ogni anno precise disposizioni per consentirne la celebrazione, sempre nel rispetto delle norme di sicurezza.

Nel 2015 è stato siglato un Protocollo d’Intesa tra il DAP e l’Unione delle Comunità ed Organizzazioni Islamiche in Italia: sono attualmente 13 gli imam indicati dall’UCOII che hanno ottenuto il Nulla Osta e sono stati inseriti nell’elenco dei ministri di culto già autorizzati all’accesso negli istituti.

Foto di Margherita Lazzati Mostra 'Fotografie in carcere. Manifestazioni della libertà religiosa'

Con riferimento ad altre fedi, è presente una minoranza di detenuti di fede ortodossa, che sono attualmente seguiti da 24 ministri di culto di varie Chiese Ortodosse, anch’essi autorizzati ad accedere negli istituti penitenziari a seguito di rilascio del Nulla Osta del Ministero dell’Interno.

La Legge 126/2012 ha inoltre regolarizzato i rapporti tra lo Stato Italiano e la Sacra Arcidiocesi Ortodossa d’Italia: i sacerdoti attualmente autorizzati sono 32.

Nel 2015, anche l’Unione Buddista Italiana, a seguito di stipula dell’Intesa con lo Stato (Legge 245/2012), ha trasmesso per la prima volta un elenco dei propri monaci che la Direzione Generale Detenuti e Trattamento ha provveduto a diramare ai PRAP: ad oggi se ne contano 17.

Infine, l’Istituto Buddista Italiano “Soka Gakkai” di Firenze ha stipulato un’Intesa con lo Stato Italiano con legge 130/2016, grazie alla quale 73 ministri di culto ad essa aderenti possono accedere agli istituti penitenziari.

 

La foto di copertina e quelle nell’articolo sono di Margherita Lazzati e fanno parte della mostra Fotografie in carcere. Manifestazioni della libertà religiosa
che si può visitare fino a domenica 26 gennaio a Milano, presso il 
Museo Diocesano Carlo Maria Martini (ingresso da piazza Sant’Eustorgio 3)

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