Storia di Salvatore, medico nelle carceri bresciane, vittima del Covid-19

Salvatore Ingiulla, medico delle carceri bresciane, e la figlia Elena. Ingiulla è morto a causa del Covid-19
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Salvatore Ingiulla, 61 anni, una delle tante, troppe persone che il Coronavirus si è portato via nel silenzio di una stanza di terapia intensiva. Uno dei tanti operatori sanitari che ha dato la sua vita per curare quella degli altri. Salvatore, nato a Biancavilla, ai piedi dell’Etna, era il medico delle carceri di Canton Mombello e Verziano di Brescia.

“Un gigante buono” hanno scritto di lui detenuti che curava da anni “dall’animo gentile, che ha sempre saputo trasmetterci il senso di umanità di cui era dotato e non ci ha mai fatto sentire emarginati”.  E anche la Polizia penitenziaria gli ha voluto tributare l’omaggio che meritava, facendosi trovare schierata in parata d’onore al passaggio del feretro che dall’ospedale si dirigeva verso il cimitero.

Il picchetto d'onore della Polizia Penitenziaria in onore di Salvatore Ingiulla
Il picchetto d’onore della Polizia Penitenziaria in onore di Salvatore Ingiulla

Una storia di dedizione al lavoro, di passione che diventa impegno civile e umano. La storia di un uomo che ha lasciato un vuoto immenso nella vita dei suoi familiari. Un vuoto che in una notte di lacrime, “l’ennesima” come ha poi raccontato Elena, uno dei tre figli, fa scrivere una lettera al Presidente della Repubblica. Nella form sul sito del Quirinale, 500 caratteri, Elena prova a metterci dentro dolore e amore assieme, emozioni da raccontare a Sergio Mattarella, l’uomo che il babbo ammirava tanto.

“Sono Sergio Mattarella, cercavo Elena. Richiamerò”. La prima telefonata che il Capo dello Stato fa è a una segreteria telefonica, ma al secondo tentativo trova la ragazza alla quale cerca di trasmettere tutto l’affetto e l’incoraggiamento che occorre per rialzarsi, imparando a trasformare il dolore.
“Ho parlato di quello che mio padre era per me e di come vorrei che la sua memoria restasse” ha spiegato Elena, parlando del suo papà medico che ha lavorato fino al giorno prima di essere ricoverato, spendendosi per ognuno di quelle donne e uomini che sono ristretti.

Così ha voluto ricordarlo una detenuta, in un messaggio alla figlia: “Ho avuto modo di conoscere suo padre al Verziano essendo una detenuta a rischio Covid. Fece di tutto per farmi uscire in pochi giorni (e lui era già ammalato)…avete avuto un grande uomo in famiglia”.

 

Le immagini presenti in questo articolo sono frame tratti dal servizio del Tg3 andato in onda mercoledì 20 maggio alle ore 19,00