Triathlon, le Fiamme Azzurre
in corsa per Tokyo

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Nelle ultime settimane il triathlon ha messo su casa in Canada: prima le due prove di paratriathlon in Quebec – con il nostro paralimpico Giovanni Achenza terzo alle World Series di Montreal e poi davanti a tutti nella World Cup di Magog – poi le WTS di Edmonton, lo scorso weekend. E lì, nell’Alberta, Davide Uccellari ha colto il suo miglior piazzamento nel massimo circuito iridato (14°), che vale più di un campionato mondiale, mentre il quartetto italiano per metà a trazione Fiamme Azzurre – lo stesso “Uccio” e Beatrice Mallozzi, con Alessandro Fabian e Verena Steinhauser – si è piazzato al quinto posto nella Mixed Relay, mai così in alto in una tappa delle World Series. A questo punto tutti i nostri P.O. sono assolutamente in corsa per la “carta olimpica”: Uccellari e il romano Delian Stateff anche per l’individuale maschile, la junior Mallozzi disponibile per la staffetta mista – proprio per non compromettere il percorso di crescita di una ragazza della classe 2000 – e una pattuglia paralimpica formata dal sassarese Achenza nella categoria “handbike” e dalla due volte olimpica Charlotte Bonin come “guida” della calabrese Anna Barbaro nella categoria non vedenti e ipovedenti. Detto così sembra tutto facile e lineare: ma dietro i numeri e i piazzamenti c’è tutto un mondo di fatica e di passione.

Giovanni Achenza
Giovanni Achenza

Il triathlon? Si dice che tutto sia nato oltre quarant’anni fa, da una sfida che il capitano dei marines John Collins aveva lanciato ai commilitoni di stanza nelle Hawaii: mettere insieme tre prove massacranti che già si disputavano in quell’arcipelago, la gara di nuoto di Waikiki (3.8 chilometri), la “Bike race” di Oahu (112 miglia, ovvero 180 chilometri) e la Maratona di Honolulu (sui classici 42 chilometri e 195 metri). Nasceva così l’Ironman, che ancora si svolge ogni anno tra le isole del Pacifico: e da quello, per rendere le cose un tantino più umane, è derivato il triathlon olimpico, ridotto – si fa per dire – alla frazione di nuoto su un chilometro e mezzo, a 40 chilometri in bici e alla corsa finale sui 10 chilometri. In tutto, per i più bravi, poco più o poco meno di due ore di sofferenza.

Delian Stateff
Delian Stateff

Le Fiamme Azzurre hanno un filo diretto con questa disciplina: è stato il primo Gruppo Sportivo a credere nelle sue prospettive, da prima che entrasse nel programma olimpico per decisione del congresso CIO a Parigi 1994. Non per nulla il primo atleta italiano ai Giochi è stato il nostro Alessandro Bottoni, a Sydney 2000, che aveva ricevuto la possibilità di partecipare grazie alla carta olimpica conquistata da un altro atleta della Polizia Penitenziaria, Stefano Belandi, poi costretto a rinunciare alla trasferta in Australia per un infortunio. E ad Atene 2004, la nostra Nadia Cortassa è stata l’azzurra che finora è andata più vicina alla medaglia, quinta dopo una portentosa rimonta, purtroppo non sufficiente a portarla sul podio di Olimpia. Tra gli atleti ancora in attività, Davide Uccellari e Charlotte Bonin possono vantare due presenze olimpiche ciascuno: e questa è già una credenziale che farebbe felice qualsiasi triatleta, perché la sola qualificazione costituisce di per sé una vera impresa in questo sport che è diventato negli anni uno dei più praticati sulla faccia della terra.

Il perché di tanto successo? Probabilmente proprio il fascino della fatica, sondare i propri limiti: le stesse ragioni che avevano spinto il capitano Collins a lanciare nel 1977 quella sfida che sembrava insensata.

Sentiamo i protagonisti, che ci aiutano a capire l’essenza di questo sport attraverso le loro sensazioni.

Davide Uccellari
Davide Uccellari

DAVIDE UCCELLARI: “Il triathlon è qualcosa che vivo quotidianamente, a 360 gradi … quasi una sfida, perché bisogna allenarsi duramente e con costanza. La mia preparazione occupa tutta la settimana e ogni giorno mi alleno in almeno due discipline, mentre in alcune occasioni le pratico tutte e tre: un mix di allenamento intensivo e lavoro di qualità è la ricetta giusta per migliorarsi”.

Elena Petrini
Elena Petrini

ELENA PETRINI “All’inizio sembra quasi un gioco: per chi ci si avvicina, è divertente alternare nuoto, bici e corsa. Poi ci si accorge che la passione può diventare un lavoro: in quei momenti è importante anche l’aiuto degli altri e allenarsi in gruppo è davvero stimolante, serve tanta costanza per arrivare in alto”.

Anna Barbaro e Charlotte Bonin
Anna Barbaro e Charlotte Bonin

CHARLOTTE BONIN “Il triathlon è uno degli sport più faticosi e completi che ci siano, ma per me è prima di tutto la passione più grande e un vero e proprio stile di vita. Con i sacrifici che si fanno ad alto livello non sempre si può parlare di divertimento: gli allenamenti sono estenuanti, ma si sa che nello sport non ci si inventa nulla e i traguardi più belli sono quelli più sudati”.

Beatrice Mallozzi
Beatrice Mallozzi

BEATRICE MALLOZZI “Passione/fatica/divertimento: posso affermare con assoluta certezza che nello sport sono tutti punti di forza per la crescita personale. Combinati insieme, sono indispensabili per diventare un atleta professionista: e, per quanto mi riguarda, l’essere arrivata nelle Fiamme Azzurre costituisce il coronamento di un sogno e di una grande ambizione, coniugando passione e lavoro”.