“Il calcio è divertente, insegna a stare insieme e a fare squadra”

La squadra dell'Atletico diritti composta da detenute del carcere di Rebibbia
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Intervista a Carolina Antonucci, centrocampista e difensore centrale della Res Women (campionato di Eccellenza), dottoranda in Studi Politici, ricercatrice per Antigone e, da qualche mese, allenatrice dell’Atletico Dirittila prima squadra di futsal composta esclusivamente da detenute, che ha partecipato al triangolare con la rappresentativa dell’Università Roma Tre e una selezione di Operatori dell’istituto penitenziario, svoltosi nel carcere di Rebibbia alla presenza del Presidente della Camera dei Deputati Roberto Fico.

Una squadra composta da donne provenienti da diversi Paesi e culture, abituate a convivere ma non a stare insieme in una squadra. Quali i principali ostacoli da superare?

“Il principale è stato il fatto che molte di loro, soprattutto le non italiane, non avevano mai fatto sport. Perciò hanno prima dovuto comprendere cosa sia la pratica sportiva, capire che è impegno e anche sacrificio. In un secondo momento hanno dovuto superare la vergogna di non essere in grado di effettuare il gesto tecnico che nello sport è importante. Ma non si sono arrese: non ci sono stati abbandoni, sono venute a tutti gli allenamenti, anche negli ultimi giorni con una temperatura che sfiorava i 40 gradi. Difficoltà di comunicazione linguistica invece non ce ne sono state perché le donne straniere conoscono un italiano sufficiente a comprendere le regole di questo sport”.

Lei è la prima allenatrice della prima squadra di calcio femminile composta da detenute. Cosa l’ha spinta ad accettare questo incarico?

“La proposta è venuta da Stefania Marietti di Antigone, l’associazione che ha creato con Progetto Diritti e con il patrocinio dell’Università di Roma Tre l’Atletico Diritti, la polisportiva con la quale collaboro da tempo. La nostra è una sfida a voler proporre a donne uno sport considerato appannaggio maschile per dimostrare anzitutto che è divertente, che insegna a stare insieme, a fare squadra. Siamo contente perché c’è stata risposta e, come ho già detto, partecipazione costante”.

E’ pensabile in prospettiva un torneo all’esterno?

“Non all’esterno, perché non tutte le condannate in via definitiva possono avere permessi mentre altre sono ancora in attesa di definire la propria posizione giuridica, ma un torneo con squadre esterne che vengano a giocare a Rebibbia è senz’altro un nostro obiettivo. Anche così possono conoscere la competizione e migliorare”.

In questi giorni i mondiali femminili hanno acceso i riflettori sul calcio femminile. La nazionale USA femminile ha denunciato l’Usa Soccer per discriminazioni rispetto agli atleti uomini mentre dalla Svizzera viene il progetto di un osservatorio Onu per garantire l’uguaglianza nello sport. Da professionista in Italia riscontra che ci siano iniziative analoghe?

“Le rispondo semplicemente che in Italia nessuna donna può praticare lo sport da professionista per legge. Nel senso che una legge dell’81 attribuisce alle federazioni sportive quali atleti sono professionisti. Gli sport sono cinque, e tutti maschili. Finché non si cambierà la legge, non cambierà nulla”.

Quindi “Siamo tutte calciatrici” anche in questo senso…

“Certo. Dobbiamo tutte cercare di affermare un diritto allo sport in senso pieno, sempre e non solo quando si accende l’attenzione mediatica come in questi giorni e quando le calciatrici trovano spazio anche sui rotocalchi”.