Il divorzio islamico vale in Italia? Solo se i coniugi sono alla pari

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La Corte di Cassazione, chiamata a decidere su un “divorzio islamico”, ha deciso di prendere tempo e saperne di più. Ha chiesto, quindi, al Ministero della Giustizia di  acquisire informazioni circa la “legge processuale straniera (in questo caso quella palestinese, ndr) applicabile al divorzio per cui è causa” e, al suo Ufficio del Massimario, una relazione “nazionale europea e comparata” sul tema del riconoscimento del divorzio con ripudio.

Tutto nasce dalla domanda che la Suprema Corte si è vista rivolgere da un uomo con cittadinanza giordana e italiana, che chiede il riconoscimento del suo divorzio islamico, sancito a Nablus in Palestina dal Tribunale sciaraitico, davanti al quale nel 1992 si era sposato con una donna, anche lei con doppia cittadinanza, giordana e italiana. Le vicende umane portano i due coniugi a separarsi con le modalità previste dal diritto islamico, e lo scioglimento – avvenuto secondo la sharìa – viene registrato anche dallo stato civile italiano. Nel 2015, però, accogliendo il ricorso della moglie ripudiata, la Corte d’Appello di Roma ne ordina la cancellazione, ritenendo che non si possa ratificare un divorzio “basato solo sulla volontà del marito” in assenza di contraddittorio reale e senza che alla moglie sia riconosciuto l’identico diritto.

Il marito, che nel frattempo, ottenuto il nulla osta e ritenendosi oramai sciolto dall’impegno, dopo aver atteso i tre mesi previsti, ha contratto nuovo matrimonio, contesta la sentenza della Corte d’Appello, affermando che nel 2011 una legge palestinese ha equiparato i coniugi nel diritto di agire e resistere in giudizio, introducendo nella procedura anche un tentativo di conciliazione, che risolvendosi negativamente, apre allo scioglimento effettivo del legame, per il venir meno dell’unione spirituale e materiale.

Quindi, a questo punto, la Cassazione investita della vicenda, ha deciso di non decidere ma interpella il Ministero perché appuri se realmente marito e moglie siano uguali nell’esercizio del ripudio del coniuge, facoltà che prelude alla richiesta di divorzio e, se ad entrambi sia assicurato il rispetto del contraddittorio e il diritto di difesa.