Relazione Dia: mafie
in cerca di ‘nuove leve’

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La Direzione investigativa antimafia nella consueta Relazione semestrale al Parlamento traccia un quadro dello stato delle organizzazioni criminali, dell’attività di contrasto delle istituzioni e delle linee evolutive che i poteri criminali stanno seguendo.

Il documento della Dia pone l’accento in particolare sul rischio che le mafie, alla ricerca di nuovi o più stabili equilibri dopo i duri colpi inferti dallo Stato, puntino sempre più sulle nuove generazioni: “Nonostante la forte azione repressiva delle istituzioni, la criminalità organizzata continua ad attrarre giovani, siano espressione diretta delle famiglie o semplice bacino di reclutamento da cui attingere manovalanza criminale”. Nella Relazione si sottolinea come le giovani generazioni rappresentino una vera “linfa per le mafie”, con dati particolarmente chiari: “La fascia tra i 18 e i 40 anni ha ormai assunto una dimensione considerevole e tale, in alcuni casi, da superare quella della fascia 40-65, di piena maturità criminale”.

Questo ricambio generazionale – si spiega – risulta più forte anche per via dello scenario occupazionale, caratterizzato da precarietà e mancanza di opportunità : “Il fenomeno  dei boss sempre più giovani da una parte pone la questione della successione nella reggenza delle cosche, dall’altra chiama in causa una crisi sociale diffusa che, soprattutto nelle aree meridionali, non sembra offrire ai giovani valide alternative per una emancipazione dalla cultura mafiosa”. Le mappe territoriali della disoccupazione, specie giovanile, e della concentrazione criminale tendono, quindi, a sovrapporsi. Dimostrazione di come la criminalità organizzata, “approfitti dello stato di bisogno di molti giovani e speculi sulla manodopera locale, dando l’effimera sensazione di distribuire un salario, sempre minimo, per generare dipendenza e senza garantire i contributi previdenziali – e quindi un futuro – ai giovani impiegati al suo servizio”.

Restringendo lo sguardo sulle singole organizzazioni criminali presenti nel nostro Paese, la Relazione semestrale della Dia delinea le caratteristiche attuali, alla luce delle evidenze giudiziarie e di analisi.

La ‘ndrangheta – si legge nel documento – risulta “fortemente proiettata verso la gestione di tutte le attività economico-finanziarie più appetibili, mantiene intatta la propria supremazia nel traffico degli stupefacenti, non solo a livello nazionale, interloquendo direttamente con i più agguerriti ‘cartelli’ della droga del mondo”.  Le ‘ndrine, per la loro dimensione familiare e per la compattezza interna, risultano, inoltre, “tendenzialmente refrattarie al fenomeno del pentitismo”.

Per quanto riguarda la mafia siciliana, la Dia tratteggia uno scenario in continua evoluzione e fibrillazione: “Cosa nostra attraversa uno stato di generale criticità, l’organizzazione è ancora impegnata in un riassetto degli equilibri interni”, anche per via dell’opera repressiva dello Stato.  La recente operazione della DDA di Palermo (“Cupola 2.0”), eseguita dall’Arma dei carabinieri il 4 dicembre 2018,  ha condotto al fermo di 47 affiliati, tra cui 4 capi mandamento e 10 tra capi famiglia, capi decina e consiglieri. Proprio i vuoti di poteri e le mire di capi emergenti alla ricerca di spazi per scalare posizioni di potere costituiscono motivi per tenere alta la guardia: “Non è da escludere – scrive la Dia – che, alla luce della non chiara evoluzione del quadro descritto, le articolate dinamiche dell’organizzazione possano sfociare in atti di violenza particolarmente cruenti”.

Affrontando i profili evolutivi più recenti della camorra, la Dia fa notare che si è assistito alla “scomparsa dei capi carismatici,  il cui ruolo è stato assunto da familiari, tra cui molte donne, o elementi di secondo piano, che non sempre hanno mostrato pari capacità nella guida dei sodalizi”. Di fronte ai rapidi mutamenti “questi giovani delinquenti hanno spesso fatto ricorso ad azioni violente”. In particolare nella città di Napoli si è affermata una pluralità di gruppi autonomi, più simili a “bande gangsteristiche e sempre caratterizzati dall’impiego di metodologie di tipo mafioso e da un uso spregiudicato della violenza, che ha generato un palpabile clima di fibrillazione”.

Allargando l’analisi alle ramificazioni delle organizzazioni criminali nel resto del Paese, la Relazione della Dia spiega che “nel centro e nel nord Italia le mafie diventano soprattutto liquide, operando attraverso vere e proprie joint venture criminali anche con le organizzazioni di matrice straniera”. I reati più diffusi restano estorsione e riciclaggio.

La Relazione evidenzia, inoltre, i legami crescenti tra organizzazioni criminali autoctone e gruppi stranieri: “Nel sud del Paese, i clan stranieri tendono ad agire con l’assenso delle organizzazioni mafiose, mentre nelle restanti regioni tendono ad agire autonomamente”. La criminalità albanese “resta l’organizzazione straniera più presente e ramificata in ambito nazionale”.

Un focus è dedicato, infine, alla situazione di Roma. Nella Relazione si legge che “l’area della Capitale, sede di importanti infrastrutture, di istituzioni politiche e amministrative e di numerosissime attività commerciali, costituisce un polo di attrazione per la criminalità organizzata”. Dall’esame delle manifestazioni criminali – scrivono gli analisti della Dia – emerge l’esistenza di una “struttura di natura reticolare che tende ad infiltrare i luoghi del potere decisionale ed economico”. I sodalizi criminali, in questo contesto, puntano a stringere alleanze temporanee per perseguire i propri interessi.