Storia di Michele, l’informatico che ha battuto il virus

ospedale coronavirus
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41 anni, fisico di ferro, nessuna patologia. Se avesse dovuto presentarsi all’esame di leva, magari omettendo l’età, sarebbe stato giudicato: “Abile, arruolato”. E invece ‘abile, arruolato’ glielo ha detto il virus, il COVID-19. Lui è Michele, 41 anni appunto, consulente informatico forense e perito per 20 tribunali d’Italia, tra cui quello di Brescia, che frequentava quotidianamente, sebbene non sia bresciano e viva altrove.

Il 28 febbraio, dopo qualche giorno di febbre piuttosto alta, viene sottoposto al tampone (anche se lui non viene dalla zona rossa). E’ positivo e gli operatori del 118, che erano arrivati dietro insistenza dei familiari e del suo medico di base, lo trasportano immediatamente in ospedale, in codice rosso, in terapia intensiva. Inizia qui la battaglia del “fisico di ferro, nessuna patologia”, 16 giorni in coma farmacologico per dare il tempo al suo organismo di combattere l’infiammazione polmonare da coronavirus che gli hanno diagnosticato. In terapia intensiva, si sa, le visite vengono permesse ad una persona per volta, la maggior parte del tempo la si passa da soli, eppure lui, nel suo stato di semi incoscienza si rende conto di non essere solo: “I medici e gli infermieri si sono presi cura di me. Sapevo che non sarei morto, ero in buone mani. Le mani di quelle che sono a loro volta persone con figli e famiglia e che mettono a rischio la loro vita per la nostra stessa vita”, come lui stesso ha detto all’ADNKronos.

Oggi a Michele hanno tolto l’ossigeno e sta per essere trasferito in reparto, dove continuerà a essere curato, dove migliorerà ancora fino a guarire del tutto. Dove quelle mani, quegli occhi stanchi di sofferenza, continueranno a prendersi cura di lui e lo accompagneranno all’uscita, verso quella “coca-cola zero” che vorrebbe bere ma, soprattutto, verso la vita che, dice, “apprezzerò, con la grinta e la serenità di avercela fatta”. E’ stanco ed emozionato Michele e vorrebbe esprimere la sua gratitudine a tutto lo staff, a quelle mani che non lo hanno mai lasciato cadere e che appena potrà andrà a stringere fra le sue senza paura.