La lettera delle ‘mamme di Rigopiano’: siamo madri orfane di un figlio

Manifestazione per il 3° anniversario della strage di Rigopiano - lettura della lettera
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Sabato scorso a Penne (Pescara) si è svolta la commemorazione del terzo anniversario della strage di Rigopiano, dove il 18 gennaio 2017 persero la vita 29 persone. Durante la manifestazione, organizzata da Gianluca Tanda, portavoce del Comitato dei familiari delle vittime, e presentata da Federico Perrotta in coppia con Evelina Frisa, si sono alternati sul palco musicisti e cantanti (tra questi il cantautore Mimmo Locasciulli). Uno dei momenti più commoventi si è avuto quando Evelina Frisa ha letto la lettera che le ‘mamme di Rigopiano’ hanno scritto per ricordare i propri ragazzi morti tre anni fa nell’albergo travolto dalla neve.

A voi, che mancate ogni giorno di più.

Sono trascorsi 3 anni dall’immane tragedia che ha provocato la vostra morte,  anime innocenti… 36 mesi  di dolore e disperazione, perché perdere un figlio ti devasta nel corpo e nell’anima, ti cambia dentro, ti sconvolge la vita: un figlio è tutto, puoi averne uno, due, cinque… , ma la mancanza di quello che non c’è più è comunque atroce.  Sopravvivere ad un figlio è disumano, sempre, ma ancor di più quando la sua morte si poteva e si doveva evitare.

Scoprire poi che nessuno ha fatto niente per salvarvi, nessuno ha messo in atto le doverose misure di sicurezza per prevenire la disgrazia, nessuno si è preoccupato del pericolo che stavate correndo, nonostante le imploranti richieste di aiuto che avete inviato,  rende tutto ancor più doloroso e trasforma la disperazione in rabbia, in determinazione a cercare e pretendere giustizia, perché è doveroso verso di voi, angeli nostri e verso tutti i cittadini di buon senso, affinché non accada mai più una tragedia assurda come quella di Rigopiano.

Ci dicono che la vita va avanti e che bisogna reagire… Da quel maledetto 18 gennaio la nostra non è più vita, ma sopravvivenza; compiamo le consuete azioni quotidiane come automi, senza l’entusiasmo di prima; non sappiamo più ridere di gusto, ci limitiamo a sorridere per cortesia; non riusciamo più a gioire delle occasioni di festa, semplicemente indossiamo una maschera per rispetto dei nostri cari, perché voi mancate, troppo, ogni giorno di più e il vuoto che avete lasciato sarà sempre incolmabile: mancano i vostri sorrisi, i vostri abbracci, il vostro entusiasmo,  le chiacchierate con voi… La vostra presenza in famiglia!

Durante il giorno cerchiamo di tenerci  impegnate,  di occupare la mente con altri pensieri, ma quel doloroso ricordo sovrasta tutto e riaffiora, perché è naturale, siamo mamme, anzi madri orfane di un figlio.

Il buio della sera, poi, amplifica la sofferenza: quei messaggi  o quelle telefonate che non arrivano più, quel portone che non si apre perché voi non rientrerete più a casa, quel terrore all’idea di che cosa avete provato sotto le macerie, la neve e quant’altro, di cosa avete pensato… Ci avrete chiamato? Avrete cercato il nostro aiuto?…  Se solo avessimo saputo il pericolo che stavate correndo!!!

Il senso di angoscia sale fino alla testa e sfocia copiosamente  in lacrime o in insonnia… A volte si riesce a prendere sonno soltanto per il grande desiderio di potervi vedere e abbracciare in sogno.

Nelle vostre stanze custodiamo gelosamente  oggetti che possano farci sentire ancora la vostra vicinanza, indumenti che conservano ancora un po’ del  vostro profumo, foto che vi ritraggono nei momenti belli e felici della vostra  breve vita e in quegli attimi la nostra mente si illude che non sia successo niente, che si tratti soltanto di un brutto sogno, di un incubo.

Poi, però, si ritorna alla dura realtà e si sente una fitta al cuore, una morsa allo stomaco, mentre la solita domanda martella il cervello: perché? Perché tanto dolore? Perché tanta sofferenza?  Perché tanta noncuranza?

Figli nostri, siete stati strappati ingiustamente alla vita, siete stati abbandonati  lassù ad aspettare la morte e coloro che potevano e dovevano evitare questa tragedia  non hanno fatto niente, neanche ci hanno provato, invece avrebbero potuto salvarvi tutti, anche senza tanto sforzo.

Come si può vivere con un tale peso sulla coscienza? Come si può cercare di discolparsi, quando si ha un tale macigno addosso? Come si possono guardare i propri figli, sapendo di non aver fatto nulla per salvare 29 persone? Come si possono trovare pretesti, quando si ha la consapevolezza di essere complici di questa tragedia prima, durante e dopo? Come si può essere così superficiali anziché vergognarsi per aver provocato tanto dolore?

Le mamme di Rigopiano